I frassinicoltori
Ci siamo resi conto che non è possibile parlare della manna senza menzionare chi la produce tra difficoltà, fatica e sudore. E' per tale motivo che la redazione de "Il Frassino"
vuole rendere omaggio a quello che a detta di tutti è considerato il più grande conoscitore delle virtù della manna: Il sig. Giulio Gelardi, semplicemente Giulio per gli amici.
Volevamo cominciare saccheggiando (lo fanno in molti, ma Giulio non si arrabbia) l'antefatto della memoria che lui stesso ha scritto alcuni anni fa: Memorie sulle piogge di Manna.
Antefatto
Nel 1985 sono tornato in Sicilia poiché non volevo si perdesse la cultura dei miei genitori, poiché non volevo, come gli avvoltoi o gli intellettuali, aspettare che morisse per poterla studiare e comporre quindi poetici, patetici e falsi ricordi. Mi piace l'archeologia, ma disprezzo chi vuole archeologizzare il presente per poterlo studiare, lodare e rimpiangere.
E tornare in Sicilia per me voleva dire tornare per produrre manna.
Magica sostanza che fino agli anni '50 contava migliaia di produttori, per migliaia di quintali di prodotto, e che agli inizi degli anni '80 era in uno stato comatoso con solo un centinaio di anziani produttori. Autorevoli studi la davano per spacciata e con malcelata soddisfazione snocciolavano cifre per dimostrarne l'inarrestabile declino e l'inevitabile scomparsa: finalmente un altro pezzo della vecchia ed arretrata Sicilia spariva per fare largo alla nuova e scintillante Sicilia!
L'odio per il nostro miserabile passato che nel secondo dopoguerra ha funzionato come motore per cercare di realizzare un cambiamento ed un miglioramento, ormai è diventato per tutta la Sicilia e per tutte le classi furore iconoclasta: tutto il passato deve essere cancellato. Per essere più precisi: va cancellato ciò che è ancora vivo, al contrario ciò che è morto va lodato iperbolicamente. Così la nostra cultura rischia di nutrirsi solo di cadaveri. E sono tornato per pormi al servizio di mio padre affinché mi insegnasse nelle torride giornate di agosto come si riconosce un frassino maturo, pronto a stillare manna, da quali, pressoché impercettibili, indizi, e come va fatta l'incisione, e come si raccoglie, e come si gusta.
Tutte cose che non sono scritte in nessun libro, che gli stessi contadini non sanno spiegare e che per essere apprese richiedono imitazione. Fare questo richiedeva una notevole dose di pazienza e soprattutto rigore: seguire docilmente mio padre, osservavo e quindi cercare di imitarlo ripetendone i gesti finchè da impacciati non diventassero aggraziati e armonici. Tuttavia dopo qualche anno sono arrivato a chiedermi perchè tanti giovani vanno a cercare maestri, illuminazioni e miracoli in India o in paesi esotici quando basterebbe che si ponessero al servizio di un qualsiasi anziano contadino: non riceverebbero, per le cose essenziali, un insegnamento verbale, ma basato sull'esperienza pratica, ed in più vivrebbero in un mondo realmente esotico.
Ma la vera difficoltà risiedeva nel fatto che mio padre non voleva farmi da insegnante perchè anche lui era convinto che la coltura della manna fosse regressiva. Soprattutto riteneva una sconfitta che il figlio che aveva fato studiare, così come fanno tutti i contadini, per allontanarlo dalla terra, ci ritornasse. Contraddizione esistenziale spaventosa: mentre l'avvocato, il medico e qualsiasi professionista sogna che il figlio segua le sue orme e si prepara a lasciargli in eredità lo studio e la clientela, il contadino al contrario si ritiene l'ultimo chiodo della carrozza e spera che il figlio cambi attività, che si separi dalla sua cultura. Vuole, in verità, lasciargli la terra ma perchè possa costruirci la villa, non per coltivarla. Non vuole che erediti la sua raffinatissima, ma disprezzata, cultura, frutto di millenni di osservazioni e sperimentazioni.
Col tempo, lavorando insieme, questa diffidenza si è smorzata, anche perchè sapevo come affrontarla poiché anch'io, nell'adolescenza, avevo odiato con tutto il cuore l'antica, appiccicosa e stancante manna. Tuttavia io ero già inquinato dall'altra cultura per cui non mi bastava più, come invece bastava a mio padre, produrre manna e aspettare che i commercianti venissero a comprarla, non mi bastava solo saperla produrre, m'interessava anche conoscere la cultura che c'era dietro a questo prodotto.
Intuivo per il nome stesso che doveva essere appassionante e complessa. Mi volsi attorno e presi contatto con l'intelligenza locale. Trovai il deserto. Ignoranza generalizzata non solo per quel che riguardava le tecniche colturali proprie del miserabile contadino e perciò da disprezzare, ma anche su tutti gli altri fronti.
Non si conosceva la storia della manna, e neanche quando era cominciata la produzione da noi (da secoli dicevano in modo paludato, per dire che non ne sapevano niente), e quali sono state le condizioni economiche e sociali dei produttori, e se si produceva in altre parti del mondo, ecc..
Nella quasi totalità politici ed intellighenzia aspettavano che la manna morisse per poterci fare delle belle ricerche storiche, delle eccellenti pubblicazioni, ed infine uno stupendo museo. Intanto bisognava stare fermi ed aspettare perchè purtroppo non era ancora morta. Addirittura nel 1957 la regione siciliana aveva instituito un consorzio obbligatorio tra i produttori di manna, uno squallido carrozzino (non si può chiamare carrozzone perchè ha troppo pochi impiegati) clientelare che come una medicina amara, ma necessaria, doveva garantire il trapasso senza scosse della morente. L'eutanasia di una cultura.
Non potevo accettare questo stato di cose. Mi ritrovai così ad essere la mosca bianca che non sol produceva (giovane di 35 anni!) un prodotto antistorico, ma che addirittura ne era orgoglioso e che, cosa quasi oltraggiosa, voleva conoscere la storia e la cultura di questo prodotto. Non mi accontentavo di fare il contadino, volevo rubare il mestiere a quelli che sanno tutto della papaia e dell'albero del pane ed hanno ignorato orgogliosamente l'esotica manna, a quelli che sanno tutto della colonizzazione delle Americhe, a quelli che conoscono a menadito le tradizioni popolari degli indiani.
Così ho trascorso gli ultimi anni: l'estate a produrre manna, l'inverno nelle biblioteche e negli archivi a frugare nel passato di questo mirabile prodotto.